L'Università
Per Humboldt, l'università rappresenta un passaggio verso una maggiore libertà, dove il sapere diventa un processo di trasformazione interiore. Questo passaggio avviene tramite il collegamento fra la scienza dell'oggetto e la formazione del soggetto. Nelle scuole, ci vengono date delle mere nozioni, conoscenze compiute e riconosciute che creeranno la base del nostro sapere. Invece, all'università, queste nozioni scolastiche si evolvono in strumenti di indagine scientifica, favorendo la formazione come ponte verso il sapere e verso la libertà individuale. Qui si introduce alla scienza come ricerca continua e problematica, con lo scopo di ampliare i confini del noto. All’università, studenti e docenti sono compagni nella ricerca. Ridurre gli studenti a risorse da addestrare o clienti da soddisfare compromette sia la formazione che la scienza.
Tuttavia, questo ideale si realizza solo se la scienza è perseguita per amore del sapere, non per fini utilitaristici.
I principi fondamentali dell'università per Humboldt sono:
- Solitudine: il distacco dalla società garantisce autonomia, proteggendo la ricerca da influenze esterne (finanziarie, politiche, burocratiche).
- Libertà: l’autonomia personale consente di perseguire il sapere per il suo valore intrinseco. La libertà include sia l’assenza di interferenze che la capacità di rispondere alla propria vocazione intellettuale.
- Cooperazione: diversa dalla collaborazione meccanica imposta da un’autorità centrale, si basa sull’adattamento reciproco. I ricercatori contribuiscono individualmente a un progetto comune, mantenendo uno spirito di condivisione e di progresso collettivo.
Contributo all'Università di Berlino
Dopo la vittoria di Napoleone a Jena e il crollo della Prussia, Humboldt tornò in Germania nel 1808, accettando con riluttanza un incarico al ministero degli interni come responsabile degli affari ecclesiastici e dell’istruzione. Tra il 1809 e il 1810 realizzò una radicale riforma del sistema educativo prussiano, introducendo il principio dell’istruzione gratuita e universale. Sempre nel 1810 fondò l’Università di Berlino (oggi Università Humboldt), basata sull’integrazione tra insegnamento e ricerca, creando un modello che influenzò le università moderne in Germania e nel mondo, proponendone l'indipendenza.

Un importante scritto di Humboldt, il frammento Über die innere und äussere Organisation der höheren wissenschaftlichen Anstalten in Berlin, composto tra il 1809 e il 1810, rimase inedito fino alla fine del XIX secolo. In esso, Humboldt esponeva la sua visione dell’università come luogo dedicato alla coltivazione del sapere per il sapere stesso, senza scopi pratici immediati o dipendenze da Stato, Chiesa o interessi particolari. Secondo lui, la scienza e il sapere non richiedono giustificazioni esterne, poiché rappresentano l’orizzonte ultimo da cui si può comprendere il senso di ogni altra cosa. Humboldt considerava le istituzioni scientifiche superiori come il vertice della vita culturale e morale di una nazione. Pur aperte alle sollecitazioni esterne, non dovevano essere subordinate ad alcun interesse specifico.

Il suo modello si contrapponeva sia all’università medievale, ormai priva di autonomia, sia al sistema francese delle grandes écoles, troppo funzionale agli interessi statali. Concepì quindi una "terza via", fondata sulla libertà e indipendenza della ricerca e dell’insegnamento. Tuttavia, il suo ideale è stato successivamente messo in crisi, con la trasformazione dell’università in un’istituzione più orientata al mercato e meno libera, come già segnalava Max Weber nel 1917.
L'universitas scientiarum
Nel XVIII secolo, le università entrarono in crisi a causa della concorrenza di accademie e scuole speciali, nate per rispondere all’interesse illuministico verso un sapere pratico e applicabile alla formazione professionale. Le università si erano fossilizzate su uno studium ripetitivo e obsoleto, incapace di innovarsi. La riforma di Humboldt, all’inizio dell’Ottocento, offrì una soluzione a questa crisi.
Dopo la sconfitta prussiana a Jena nel 1806, i riformatori compresero l’importanza del capitale umano per il progresso economico e tecnologico. Per questo progettarono un sistema educativo che favorisse l’innovazione e il progresso, democratizzando l’accesso all’istruzione e promuovendo una convergenza culturale tra élite e classi produttive.
Questo progetto, benché ridimensionato dopo la caduta di Napoleone, portò alla creazione dell’universitas scientiarum: un’istituzione che univa insegnamento e ricerca, valorizzando la scienza aperta e ponendo la filosofia come disciplina centrale e unificante.
Le università riformate secondo il modello humboldtiano, garantivano ai professori indipendenza intellettuale grazie al finanziamento statale e alla sicurezza del posto fisso, favorendo così una ricerca ampia e disinteressata. Questo approccio portò la Germania a eccellere in ambito scientifico: tra il 1901 e il 1933 ottenne numerosi premi Nobel, in particolare 13 per la chimica e 10 per la fisica, rendendo il modello tedesco un esempio da imitare in tutto il mondo.
I limiti del modello humboldtiano
Il modello humboldtiano, sebbene innovativo, presenta due limiti strutturali:
- La combinazione di didattica e ricerca è concepita per un’università d’élite, non adatta alla realtà delle università di massa.
- L’eccessiva protezione dal mondo esterno può favorire un ambiente conservatore e statico, come dimostrato dall’acquiescenza di molti docenti tedeschi e italiani di fronte ai regimi fascisti e nazisti, che soffocarono la libertà accademica.
Con la crisi economica del 1973, il modello humboldtiano subì i primi colpi: i finanziamenti pubblici diminuirono, e le condizioni lavorative dei docenti peggiorarono.